- alcuni vedono Gesù come profeta,
- altri — come sappiamo da diversi testi evangelici — lo ritengono
indemoniato: "Gli risposero i Giudei: "Non diciamo con ragione
noi che sei un Samaritano ed hai un demonio?"" (Gv 8, 48);
- Pietro e gli altri discepoli, invece, lo riconoscono come:
"Figlio del Dio vivente".
Se analizziamo le tre risposte dal punto di
vista delle prospettive spazio-temporali che presuppongono, si può
osservare:
- Nel primo caso, quando Gesù Cristo è
riconosciuto come profeta, l’uomo accoglie sì Gesù come messaggero
della divina volontà, ma rimane ancora prigioniero delle sue
limitazioni spazio-temporali. Gesù è portavoce di Dio, ma non è Dio.
La percezione della reale presenza di Dio nel mondo è inesistente. Si
riconosce la realtà divina, la comunicazione con il trascendente, ma
non l’inserimento in essa.
- La seconda posizione, che ritiene Gesù
"indemoniato", ha anch’essa una dimensione religiosa, ma di
carattere demoniaco. I "segni" attraverso i quali Gesù Cristo
rivelava la sua divinità non sono visti come indizi della presenza di
Dio nel mondo o della sua comunione con l’uomo, ma solo come atti
soprannaturali straordinari. Anche in questo caso vengono conservate le
dimensioni umane dello spazio e del tempo e Gesù non è riconosciuto
come proveniente da Dio, ma ritenuto strumento del diavolo. Si riconosce
una realtà trascendente, ma è una realtà che non trasfigura il mondo
presente.
- La terza confessione, che Gesù è:
"…il Cristo, il Figlio del Dio vivente", presuppone invece,
l’accoglimento di nuove dimensioni spaziali o temporali, ovvero
l’inserimento dell’uomo in esse. Perché l’uomo Gesù sia Figlio
del Dio trascendente, perché cioè sia possibile la presenza di Dio
nella storia, devono capovolgersi le concezioni dell’uomo riguardo
allo spazio e al tempo. L’accoglimento della presenza del trascendente
e dell’eterno nello spazio e nel tempo, suppone il cambiamento totale
delle coordinate razionali, ovvero, l’ingresso in un nuovo spazio e in
un nuovo tempo: conseguentemente, suppone la rivelazione di Dio. Solo se
Dio si manifesta all’uomo, l’uomo può accettare Gesù Cristo come
Dio. Questa verità è espressa spesso e in vario modo nella Prima
Lettera di Giovanni, ove si legge tra l’altro: "Chiunque crede
che Gesù è il Cristo, è nato da Dio" (1 Gv 5, 1).
Ciò significa che non è possibile per
l’uomo credere che Gesù è il Cristo, cioè uomo-Dio, se non è Dio
stesso che lo introduce nella nuova realtà, nella realtà trasfigurata
da Dio. Dice il Catechismo della Chiesa Cattolica: "Con la fede
l’uomo sottomette pienamente a Dio la propria intelligenza e la
propria volontà. Con tutto il suo essere l’uomo dà il proprio
assenso a Dio rivelatore. La Sacra Scrittura chiama "obbedienza
della fede" questa risposta dell’uomo a Dio che rivela"
(143).
Riscoprire la dimensione trascendente della
fede del credente, riportando la fede al gesto di "assenso al Dio
rivelatore", credo che debba diventare l’impegno della vita e
della catechesi in questo speciale anno Duemila, che ci ricorda in modo
speciale lo straordinario evento del Dio trascendente che entra nella
storia dell’uomo incarnandosi.
La carità
Gregorio di Nissa osserva che la virtù
della pietà ha due aspetti; quello delle verità della fede e quello
etico. Né le verità di fede senza l’etica né l’etica senza le
verità della fede, possono costituire il tutto della pietà cristiana.
Tale situazione si manifesta innanzitutto,
attraverso il cosiddetto materialismo pratico, che provoca una vera
scissione nella vita dei fedeli. La fede, non è più la regola della
vita quotidiana del cristiano; come spazio è limitata ai luoghi sacri
nei quali si va per rendere culto a Dio e nel tempo agli attimi della
comunicazione con Dio. In questo modo Dio è stato sostanzialmente
emarginato dalla vita dell’uomo ed è stato trasformato in un elemento
decorativo al servizio di diverse esigenze, psicologiche, sociali o di
altro tipo.
Una seconda conseguenza negativa della
rottura tra etica e fede è il distacco dell’amore dal vissuto
religioso. Le opere della fede, ovvero i frutti dell’amore cristiano,
vengono visti indipendentemente dalla fede e dall’amore verso Dio e il
prossimo, in uno spirito puramente utilitaristico. Così si coltiva il
cosiddetto cristianesimo pratico o sociale, che è sostanzialmente
indifferente nei confronti della dimensione trascendente del
cristianesimo, anzi lo trasforma in religione sociale e ricerca solo la
valorizzazione delle sue dottrine etiche e sociali. Questi due fenomeni
patologici, il materialismo pratico e il cristianesimo pratico o
sociale, che per altro presentano grande parentela fra loro, vengono ad
essere in piena antitesi con la tradizione e la dottrina cristiana e
sono fonte di grandi pericoli per la vita spirituale dei fedeli.
La carità è quindi strettamente ed
indissolubilmente legata alla fede. Dice il Catechismo della Chiesa
Cattolica:
"Al di sopra di tutto la carità —
… è opportuno ricordare il seguente principio pastorale enunciato dal
Catechismo Romano: "Tutta la sostanza della dottrina e
dell'insegnamento deve essere orientata alla carità che non avrà mai
fine. Infatti sia che si espongano le verità della fede o i motivi
della speranza o i doveri della attività morale, sempre e in tutto va
dato rilievo all'amore di nostro Signore, così da far comprendere che
ogni esercizio di perfetta virtù cristiana non può scaturire se non
dall'amore, come nell'amore ha d'altronde il suo ultimo fine""
(25).
Il cristiano è chiamato all’amore e
l’amore è qualcosa che investe tutta la vita e le azioni del
credente, anche la sua vita sociale, ma il credente è sempre cosciente
che questo amore viene da Dio, perché, come dice Giovanni: "…
Dio è amore [Agape]; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in
lui" (1 Gv 4, 16).
L‘amore cristiano quindi, sgorga sempre da
quella eterna fontana che è Dio, ne consegue che la carità è figlia
della fede. Anche il Catechismo della Chiesa Cattolica sottolinea questa
dipendenza:
"La vita della fede - La parte terza
del catechismo presenta il fine ultimo dell'uomo, creato ad immagine di
Dio: la beatitudine e le vie per giungervi: un agire retto e libero, con
l'aiuto della legge e della grazia di Dio…; un agire che realizza il
duplice comandamento della carità, esplicitato nei dieci comandamenti
di Dio…" (16).
Tutta la vita del credente è quindi
impregnata permanentemente dell’amore stesso di Dio e non potrebbe
essere diversamente, perché la fede, la speranza e la carità sono virtù
donate da Dio e non possono essere separate tra loro. Giacomo chiedeva
ai credenti:
"Che giova, fratelli miei, se uno dice
di avere la fede ma non ha le opere? Forse che quella fede può
salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti
del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: "Andatevene in pace,
riscaldatevi e saziatevi", ma non date loro il necessario per il
corpo, che giova? Così anche la fede: se non ha le opere, è morta in
se stessa. Al contrario uno potrebbe dire: Tu hai la fede ed io ho le
opere; mostrami la tua fede senza le opere, ed io con le mie opere ti
mostrerò la mia fede. Tu credi che c’è un Dio solo? Fai bene; anche
i demòni lo credono e tremano! Ma vuoi sapere, o insensato, come la
fede senza le opere è senza calore? Abramo, nostro padre, non fu forse
giustificato per le opere, quando offrì Isacco, suo figlio,
sull’altare? Vedi che la fede cooperava con le opere di lui, e che per
le opere quella fede divenne perfetta e si compì la Scrittura che dice:
E Abramo ebbe fede in Dio e gli fu accreditato a giustizia, e fu
chiamato amico di Dio. Vedete che l’uomo viene giustificato in base
alle opere e non soltanto in base alla fede" (Gc 2, 14-24).
"La vita religiosa sgorga dal mistero
della Chiesa. È un dono che la Chiesa riceve dal suo Signore e che essa
offre come uno stato di vita stabile al fedele chiamato da Dio nella
professione dei consigli. Così la Chiesa può manifestare Cristo e
insieme riconoscersi Sposa del Salvatore. Alla vita religiosa, nelle sue
molteplici forme, è chiesto di esprimere la carità stessa di Dio, nel
linguaggio del nostro tempo" (926) .
È qui che si combatte la battaglia per la
profonda conversione del nostro cuore e dove il Rinnovamento si
inserisce come parte prioritariamente attiva, entro la spinta
missionaria e caritativa della Chiesa.
La speranza
Tra le frasi più belle che Gesù ha detto,
la seguente ha assunto per me sempre un grande valore: "Questa è
la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai
mandato, Gesù Cristo" (Gv 17, 3).
La fede rappresenta quindi, l’inizio della
vita eterna e noi fin da ora possiamo gustare la gioia della fine del
nostro pellegrinare terreno, perché allora vedremo Dio, dice san Paolo:
"… a faccia a faccia…" (1 Cor 13, 12), e Giovani afferma:
"… così come egli è…" (1 Gv 3, 2). San Basilio scrive:
"Fin d’ora contempliamo come in uno
specchio, quasi fossero già presenti, le realtà meravigliose che ci
riservano le promesse e che, per fede, attendiamo di godere".
Tuttavia queste cose le vediamo ancora in
maniera confusa ed imperfetta, le viviamo, infatti, solo nella fede. San
Paolo direbbe: "… camminiamo nella fede e non ancora in
visione"
(2 Cor 5, 7).
Pur avendo la luce luminosa della fede, a
causa di colui in cui crede, il credente vive quindi questa esperienza
ancora nell’oscurità. Il Catechismo insegna:
"… La fede può essere messa alla
prova. Il mondo nel quale viviamo pare spesso molto lontano da ciò di
cui la fede ci dà la certezza; le esperienze del male e della
sofferenza, delle ingiustizie e della morte, sembrano contraddire la
Buona Novella, possono far vacillare la fede e diventare per essa una
tentazione" (164).
È a questo punto che interviene in nostro
aiuto la terza virtù: la speranza. Di nuovo il Catechismo ci spiega la
ragione della speranza, la sua incessante, straordinaria, utilità nei
momenti di buio e di smarrimento:
"Allora dobbiamo volgerci verso i
testimoni della fede: Abramo, che credette "sperando contro ogni
speranza" (Rm 4, 18); la Vergine Maria che, nel "cammino della
fede"6, è giunta fino alla "notte della fede"7
partecipando alla sofferenza del suo Figlio e alla notte della sua
tomba; e molti altri testimoni della fede. "Circondati da un così
gran numero di testimoni, deposto tutto ciò che è di peso e il peccato
che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta
davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore
della fede"(Eb 12, 1-2)" (165).
Sembrerà forse banale, ma è
nell’approfondimento, nella meditazione e nella riflessione costante
sulle virtù teologali che il Rinnovamento può ripartire per la più
grande evangelizzazione che investirà il terzo millennio dell’era
cristiana, forte dell’incoraggiamento del Papa che ci urge a:
"Varcare la soglia della speranza".