(Mons. Tonino Bello – da Medjugorie Torino n°113)
Questa lettera la scrivo un po’ anche a me. Sono convinto, infatti, che
tutti nella vita ci siamo portati dentro un sogno che poi all’alba
abbiamo visto svanire…
Io, per esempio, mi figuravo una splendida carriera. Volevo diventare
santo. Cullavo l’idea di passare l’esistenza tra i poveri in terre
lontane, aiutando la gente a vivere meglio, annunciando coraggiosamente il
Signore risorto.
Ora capisco che in questo sogno eroico forse c’entrava più l’amore
verso me stesso che l’amore verso Gesù. Comprendo, insomma, che in questi
slanci lontani della mia giovinezza la voglia di emergere prevaleva sul
bisogno di lasciarmi sommergere dalla tenerezza di Dio.
E’ il difetto di quasi tutti i sogni irrealizzati: quello di partire
con un certo tasso di orgoglio. E il mio non ne era indenne.
Ciò non toglie, però, ritrovandomi oggi in fatto di santità neppure ai
livelli del mezzobusto, che mi senta nell’anima una grande amarezza.
I destinatari, comunque, di questa lettera non sono coloro che, come me,
sperimentano le delusioni dei sogni e il pianterreno prosaico delle piccole
conquiste. Ma sono tutti quelli che non ce l’hanno fatta a raggiungere
neppure gli standard sui quali "normalmente" scorre una esistenza
che voglia dirsi realizzata.
Amerigo, per esempio, che ha faticato tanto per laurearsi in medicina e,
immediatamente dopo la specializzazione, ha dovuto accantonare ogni progetto
di "brillante carriera" per un distacco irreversibile della
retina.
Ugo, un ragazzo prodigio fin alla maturità classica, che si è
insabbiato nelle secche degli esami universitari, e non è più riuscito a
districarsene. Oggi ha quarant’anni e sua moglie, ad ogni lite, gli
rinfaccia il fallimento di essersi ridotto a fare il fattorino presso lo
studio di un avvocato.
Marcella, a cui tutti profetizzavano un futuro carico di successi, e che
dopo i corsi di perfezionamento in pianoforte, ha avuto decine di occasioni
per affermarsi. Ha rifiutato tanti partiti, uno meglio dell’altro. Alla
fine si è messa con un uomo divorziato che è fallito, e ha dovuto vendersi
il pianoforte a coda che le aveva comprato suo padre.
Lucia, che straripava di entusiasmo, e voleva diventare missionaria. In
primavera sfogliava le margherite per leggervi presagi di felicità, ma poi
non è partita perché i suoi l’hanno ostacolata. Ora margherite non ne
sfoglia più, ed è finita a fare la commessa in un negozio di articoli da
regalo.
Ecco, a tutti voi che avete la bocca amara per le disillusioni della
vita, voglio rivolgermi, non per darvi conforto col balsamo delle buone
parole, ma per farvi prendere coscienza di quanto siete omogenei alla storia
della salvezza.
A voi che, cammin facendo, avete visto sfiorire ad uno ad uno gli ideali
accarezzati in gioventù.
A voi che avreste meritato ben altro, ma non avete avuto fortuna, e siete
rimasti al palo.
A voi che non avete mai trovato spazio, e siete usciti da ogni
graduatoria, e vi vedete scavalcati da tutti.
A voi che avete una malattia, o una tragedia morale, o un incidente
improvviso, o uno svincolo delicato dell’esistenza, hanno fatto dirottare
imprevedibilmente sui binari morti dell’amarezza
A voi che il confronto con la sorte felice toccata a tanti compagni di
viaggio rende più mesti, pur senza ombra di invidia.
A tutti voglio dire: volgete lo sguardo a Colui che hanno trafitto!
La riuscita di una esistenza non si calcola con i parametri dei fixing di
Borsa. E i successi che contano non si misurano con l’applausometro delle
platee, o con gli indici di gradimento delle folle.
Da quando l’Uomo della Croce è stato issato sul patibolo, quel legno
del fallimento è divenuto il parametro vero di ogni vittoria, e le
sconfitte non vanno più dimensionate sui naufragi in cui annegano i sogni.
Anzi, se è vero che Gesù ha operato più salvezza con le mani
inchiodate sulla Croce, nella simbologia dell’impotenza, che con le mani
stese sui malati, nell’atto del prodigio, vuol dire, cari fratelli delusi,
che è proprio quella porzione di sogno, che se ne è volata via senza mai
realizzarsi, a dare ai ruderi della vostra vita, come per certe statue
monche dell’antichità, il pregio della riuscita.
Non voglio sommergervi dalle consolazioni. Voglio solo immergervi nel
mistero. Nella cui ottica, una volta entrati, vi accorgerete che gli stralci
inespressi della vostra esistenza concepita alla grande, le schegge amputate
dei vostri progetti iniziali, le inversioni di marcia sulle vostre
carreggiate mai divenute carriere, non soltanto non sono inutili, ma costituiscono
il fondo di quella Cassa depositi e prestiti che alimenta ancora oggi l’economia
della salvezza.
A nome di tutti coloro che ne beneficiano vi dico grazie!
Vostro don Tonino Bello