I Quaderni della Comunità n° 4/2010
Comunità S. Volto di Gesù
……… Torino ………
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“….guarderanno a colui che hanno trafitto” Zc. 12.10 – Gv. 19.37 “….per le sue piaghe noi siamo stati guariti” Is. 53.5
Isaia 53:5 Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà la salvezza si è abbattuto su di Lui; per le sue Piaghe noi siamo stati guariti.
Giovanni 1:1 In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio.
Giovanni 1:3 tutto è stato fatto per mezzo di lui………
Giovanni 1:11 Venne fra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto.
Giovanni 1:12 A quanti però l'hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome,…
Giovanni 19:17 Essi allora presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo del Cranio, detto in ebraico Gòlgota,
Giovanni 19:18 dove lo crocifissero e con lui altri due, uno da una parte e uno dall'altra, e Gesù nel mezzo.
LE ULTIME SETTE PAROLE DI GESÙ SULLA CROCE
Premessa: Vi sono tre elementi che, alleandosi, creano un grande messaggio: il pulpito, gli ascoltatori e la verità. Queste tre cose erano presenti nei due messaggi più importanti della vita di Nostro Signore, il primo e l'ultimo che egli donò al mondo. Il pulpito del suo primo messaggio erano i monti; gli ascoltatori erano gli illetterati galilei; la sua verità, le beatitudini. L'ultimo messaggio che Egli consegnò al mondo fu pronunciato dal pulpito della croce; i suoi ascoltatori erano gli scribi e i farisei che lo bestemmiavano, i sacerdoti del tempio che lo deridevano, i soldati romani che tiravano a sorte le sue vesti, pochi timidi discepoli pieni di paura: Maddalena con il suo pianto, Giovanni con il suo amore e Maria con la sua afflizione di madre. Maddalena, Giovanni e Maria: penitenza, sacerdozio e innocenza, i tre tipi di anima che si troveranno sempre ai piedi della croce di Cristo. Il Sermone che questo pubblico ascoltò, dal pulpito della croce, sono le sette parole, il testamento di un Salvatore che, morendo, sconfisse la morte.
LA PRIMA PAROLA: Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno
Sembra essere una realtà della psicologia umana che, quando si avvicina la morte, il cuore dell'uomo esprima parole d'amore a coloro che gli sono più vicini e più cari: non vi è ragione di pensare che fosse stato diverso per il Cuore dei cuori. Se egli parlò secondo una sequenza graduale a coloro che amò maggiormente, allora possiamo aspettarci di trovare le sue prime tre parole secondo l'ordine del suo amore e affetto. Le sue prime parole erano rivolte ai suoi nemici: “Padre, perdonali…”; le seconde, ai peccatori: “…oggi sarai con me nel paradiso”; le terze, ai santi: “Donna, ecco tuo figlio…”
Nemici, peccatori e santi: questo è l'ordine dell'Amore divino e della sua sollecitudine. Gli spettatori aspettavano ansiosi la sua prima parola. I suoi carnefici aspettavano le sue grida, come avevano fatto tutti coloro che erano stati appesi alla croce prima di lui. Seneca racconta che coloro che venivano crocifissi ma1edivano il giorno della loro nascita, i loro carnefici, le loro madri; sputavano persino su chi li guardava. Cicerone ci dice che a volte era necessario tagliare loro la lingua, per frenare le loro terribili bestemmie. Quindi i carnefici di Gesù si aspettavano di udire un grido, ma certo non quel tipo di grido che di fatto udirono. Anche gli scribi e i farisei si aspettavano delle grida ed erano sicuri che Gesù, che aveva predicato l'amore verso i propri nemici e di fare del bene a chi ci odia, avrebbe dimenticato questo suo vangelo quando gli sarebbero stati forati le mani e i piedi. Essi pensavano che la terribile e straziante sofferenza avrebbe disperso al vento la forza d'animo che Gesù avrebbe potuto darsi per salvare le apparenze. Come quegli alberi profumati che lasciano il loro profumo sulla scure che li abbatte, così il grande Cuore appeso all'albero dell'amore esalò dal più profondo di se stesso non un grido, ma una preghiera. La soave, dolce, umile preghiera del perdono: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno”.
Perdonare chi? Perdonare quali nemici? Il soldato nel palazzo di Caifa che lo schiaffeggiò; Pilato, l'uomo politico che preferì condannare Dio per poter rimanere amico di Cesare; Erode, che avvolse la Sapienza con il manto della stoltezza; i soldati che innalzarono il Re dei re su di un albero, fra cielo e terra: perdonarli? Perdonarli, perché? Perché sanno quello che fanno? No, perché non sanno quello che fanno. Se avessero saputo quello che stavano facendo e tuttavia avessero persistito nel farlo, se avessero saputo quale terribile crimine stavano commettendo condannando la Vita a morte; se avessero saputo quale perversione della giustizia era stata quella di aver scelto Barabba al posto di Cristo; se avessero saputo che crudeltà era quella di prendere quei piedi, che avevano camminato sulle colline eterne, per inchiodarli su di un albero; se solo avessero saputo ciò che stavano facendo e tuttavia avessero persistito nel farlo, incuranti del fatto di sapere che quel sangue che stavano versando poteva redimerli, non sarebbero mai stati salvati!
Perché? Perché se non fossero stati ignari di quanto terribile fosse quell'azione che stavano commettendo, crocifiggendo Cristo, sarebbero stati dannati eternamente! È solo grazie alla loro inconsapevolezza della gravità del crimine che stavano commettendo che poterono rientrare nell'ambito di coloro che udirono quel grido dalla croce.
Non è la conoscenza che salva, ma l'ignoranza! Se noi sapessimo che cosa terribile sia il peccato e, malgrado ciò, continuassimo a peccare; se sapessimo quanto amore vi è nell'incarnazione e, malgrado ciò, continuassimo a rifiutarci di nutrirci del Pane di vita; se sapessimo quanto amore espiatorio ci sia stato nel sacrificio sulla croce e, malgrado ciò, continuassimo a rifiutare di riempire il calice del nostro cuore con il suo amore; se sapessimo quanta misericordia vi sia nel sacramento della penitenza e, malgrado ciò, continuassimo a rifiutarci di piegare il ginocchio davanti alla mano che ha il potere di sciogliere i nostri peccati sia in cielo che in terra; se sapessimo quanta vita ci sia nell' eucaristia e, malgrado ciò, continuassimo a rifiutare di mangiare il Pane che dà la vita eterna e rifiutassimo di bere il Vino che genera e alimenta i vergini; se conoscessimo tutta la verità che si trova nella Chiesa, il corpo mistico di Cristo e, malgrado ciò, le voltassimo le spalle come fece Pilato; se fossimo consapevoli di tutte queste cose e tuttavia rimanessimo lontani da Cristo e dalla sua Chiesa, saremmo perduti! Non è la conoscenza che ci salva, ma l'ignoranza! L'unica cosa che può giustificarci di non essere dei santi è la nostra inconsapevolezza di quanto buono sia Dio!
LA SECONDA PAROLA: Oggi sarai con me nel paradiso
Secondo una leggenda, durante la fuga in Egitto per sfuggire all’ira di Erode, Giuseppe e Maria, con il fanciullo divino, si fermarono in una sperduta locanda. La Vergine Madre chiese alla padrona della locanda dell’acqua per lavare il bambino. La donna allora le chiese di poter bagnare il proprio figlioletto, che era lebbroso, con l’acqua in cui aveva lavato Gesù. Appena il piccolo lebbroso toccò l’acqua che era stata battezzata dalla presenza divina, fu guarito. Il piccolo crebbe, ma divenne un ladro. Il suo nome era Dimas e fu crocifisso a lato del Signore. Non sappiamo se durante l’agonia sulla croce Dimas ricordò questa storia della sua infanzia, raccontatagli probabilmente da sua madre, e se questo lo portò a guardare Gesù con favore. Forse il suo primo incontro con il Signore risaliva a quel giorno in cui il suo cuore si era riempito di pentimento nell’ascoltare la storia di un certo uomo che, venendo da Gerico, era stato assalito da malfattori.
Oppure possiamo supporre che si rese conto di stare patendo a lato del Redentore quando, voltando il capo, lesse l'iscrizione che portava quel nome: “Gesù”, la sua provenienza: “Nazaret”, il suo crimine: “Re dei Giudei”. Comunque siano andate le cose, ora sull'altare del suo cuore, si era accumulato sufficiente combustibile tanto da trasformarsi in una fiaccola ardente di fede non appena una scintilla cadde su di esso dalla croce di Gesù.
Dimas vede una croce, ma l’adora come un trono; vede un uomo condannato a morte, ma lo invoca come un re: “Signore, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”.
Il Signore era stato finalmente riconosciuto per ciò che era! Fra il clamore della folla delirante e il tetro sibilo del peccato universale, in quella terribile e folle rivolta dell'uomo contro Dio, nessuna voce si era elevata in riconoscimento e lode, ad eccezione di quella di un condannato a morte. Era un grido di fede in colui che era stato abbandonato da tutti, ed era solo la testimonianza di un ladro. Ma in quel momento, quando la morte era ormai prossima e la sconfitta sembrava palese, l'unico, al di fuori del piccolo gruppo ai piedi della croce, che lo riconobbe come Signore del Regno e Capitano delle anime, era un ladro crocifisso alla sua destra. In questo giorno, in cui nemmeno Erode era riuscito a farlo parlare, né le potenze di Gerusalemme erano riuscite a farlo scendere dalla croce, né le ingiuste accuse in tribunale erano riuscite a fargli rompere il silenzio, in cui nemmeno la folla era stata capace di ottenere una risposta da quelle labbra, ora egli rompe il silenzio volgendosi a quella vita trepidante a suo fianco, e salva un ladro: “Oggi sarai con me nel paradiso”. Nessuno prima di lui aveva ricevuto una tale promessa, nemmeno Mosè o Giovanni o Maddalena, nemmeno Maria. Era l'ultima preghiera di un ladro, e forse anche la prima. Bussò una sola volta, una sola volta cercò e chiese, ma quell'unica volta mise tutto in gioco per questo, in un'unica volta ottenne tutto.
Cristo, che era povero, morì ricco. Le sue mani furono inchiodate alla croce, eppure fu capace di aprire le porte del cielo e trionfare su di un'anima. Cristo fu scortato al cielo da un ladro. Possiamo veramente dire che questo ladro morì da ladro: rubò infatti il paradiso! Dove potremmo trovare una dimostrazione più eloquente della misericordia di Dio? La pecorella perduta, il figliol prodigo, la Maddalena pentita, i ladroni perdonati! Questo è il rosario della misericordia divina. La nostra salvezza preme più a Dio che a noi stessi.
Un giorno il Signore apparve a san Girolamo e gli disse: “Girolamo, vorrei la cosa a cui tieni di più”. Allora Girolamo rispose: “Signore, ti darò tutti i miei scritti”. Ma il Signore rispose: “Non mi basta”. “Ti darò la mia vita di sacrifici e mortificazioni”, replicò, ma ancora una volta il Signore rispose: “Non mi basta, Girolamo”. “Cos’altro mi rimane da darti, Signore?”, si spazientì Girolamo. Allora il Signore gli disse: “Girolamo, dammi i tuoi peccati!”.
LA TERZA. PAROLA: Donna, ecco tuo figlio
Un angelo luminoso lasciò il grande Trono della luce e discese sulle pianure di Esdrelon e, ignorate le figlie dei grandi regni e imperi, discese li dove si trovava un'umile vergine in preghiera e le disse: “Salve, piena di grazia!”. Queste non erano soltanto parole che venivano annunciate, ma era il Verbo stesso che “si faceva carne”. Questa era la prima annunciazione. Nove mesi dopo, un angelo luminoso discese nuovamente dal grande Trono della Luce su dei pastori che si trovavano fra le colline della Giudea e insegnò loro la gioia del Gloria in excelsis, invitandoli ad andare ad adorare colui che il mondo intero non può contenere, un “bimbo avvolto in fasce che giace in una mangiatoia”. L'Eterno era divenuto tempo, la Divinità si era incarnata, Dio si era fatto uomo; l’Onnipotenza si era fatta impotente. Secondo le parole di san Luca, Maria “dette alla luce il suo primogenito ... e lo depose in una mangiatoia”.
Questa era la prima natività. Poi venne Nazaret e la bottega del falegname, possiamo anche immaginarcelo, alla fine di un lungo giorno di lavoro, stiracchiare le sue braccia esauste. Da Nazaret al Calvario, dai chiodi della bottega di un falegname a quelli della malvagità umana. E fu proprio dalla croce che egli portò a compimento la sua volontà e il suo testamento. Aveva già donato il suo sangue alla Chiesa, le sue vesti ai suoi nemici, il paradiso a un ladro e presto avrebbe abbandonato il suo corpo alla tomba e la sua anima al Padre eterno.
A chi dunque avrebbe potuto donare i suoi due tesori da lui più amati: Maria e Giovanni? Li avrebbe donati l'uno all'altra, un figlio a sua Madre e una Madre all'amico. “Donna!”. Era la seconda annunciazione! L'ora oscura della notte, la stanza silenziosa e la preghiera estatica l'avevano condotta fino al Calvario, dove il cielo si era trasformato in tenebra e il figlio moriva appeso a una croce. Eppure che consolazione! La prima annunciazione era stata fatta solo da un angelo, ma la seconda da Dio stesso, con la soavità della sua voce. “Ecco tuo figlio!”. Era la seconda natività. Maria aveva dato alla luce il suo primogenito senza dolori di parto, nella grotta di Betlemme; adesso dà alla luce il suo secondogenito, Giovanni, tra i dolori del Calvario.
Solo adesso Maria sperimenta i dolori del parto, non solo nel dare alla luce il suo secondogenito, Giovanni, ma anche nel dare alla luce tutti coloro che sarebbero nati da lei come “figli di Maria”. Maria, quindi, non è solo la madre di Gesù Cristo, ma è anche madre nostra. Questo non le è dato semplicemente come titolo di cortesia; siamo veramente figli suoi e lo siamo a pieno diritto, poiché essa ci ha partoriti nel dolore ai piedi della croce. All’ombra dell'albero del bene e del male, Eva aveva perso il titolo di Madre dei viventi, a causa della sua debolezza e della sua disobbedienza. Ora, invece, ai piedi dell'albero della croce, Maria, grazie al suo coraggioso sacrificio e alla sua fedele obbedienza, ha riacquistato il titolo di Madre dei viventi. Che destino meraviglioso avere come madre la Madre di Dio e come fratello Gesù!
LA QUARTA PAROLA: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?
La quarta parola simboleggia le sofferenze di coloro che si sentono abbandonati da Dio. Quando il Signore pronunciò la quarta parola dalla croce, si fece buio su tutta la terra. Si pensa comunemente che la natura rimanga indifferente al dolore dell'uomo. I nostri cuori possono spezzarsi dal dolore per la morte di un carissimo amico, tuttavia l'arcobaleno appare festoso nel cielo anche se i suoi sgargianti colori contrastano con la cupa agonia sulla quale egli risplende. Ora, però, il sole si rifiuta di brillare sulla tragedia della crocifissione! Forse per la prima e ultima volta, la luce che governa il giorno si spegne come una candela, sebbene, secondo le previsioni umane, avrebbe dovuto continuare a brillare.
La ragione di tutto questo sta nel fatto che, davanti a quell'atto supremo dell'iniquità dell'uomo, cioè l'uccisione del Creatore della natura, la stessa natura non poteva rimanere indifferente. Se l'animo del Signore si trovava nell'oscurità, allora anche il sole, che egli aveva creato, doveva esserlo. In realtà, tutto era nell'oscurità! Egli si era privato di sua Madre e del suo discepolo amato, donandoli l'uno all'altra, e ora anche suo Padre nei cieli lo aveva abbandonato. “Elì, Elì, lamà sabactàni”. “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”: è il pianto, in quel misterioso linguaggio degli Ebrei, che esprime il terribile mistero di un Dio abbandonato da Dio stesso. Il Figlio chiama suo Padre, Dio.
Che contrasto con quella preghiera che egli un giorno aveva insegnato: “Padre nostro, che sei nei cieli…”!
Stranamente e misteriosamente, la sua natura umana sembra separarsi dal Padre celeste, eppure non è così: come potrebbe altrimenti invocarlo dicendo: “Dio mio, Dio mio”? Come la luce e il calore del sole sembrano scomparire quando si frappongono le nuvole, sebbene il sole rimanga nel cielo al di là delle nuvole, così è ora per Gesù: il volto del Padre celeste sembra scomparire in quel terribile momento in cui egli prende su di sé i peccati del mondo. Gesù assume questa sofferenza per ognuno di noi, affinché possiamo capire che cosa terribile sia per la natura umana essere privati di Dio, della sua consolazione e salvezza divine.
La sua espiazione era prima di tutto per gli atei, per quelli che, in quell'oscuro mezzogiorno, credettero a Dio solo parzialmente,come parzialmente credono oggi coloro che vivono nella notte. Espiò poi per tutti coloro che, pur conoscendo Dio, vivono come se non lo avessero mai conosciuto; per coloro i cui cuori sono come i bordi di una strada, dove l'amore di Dio getta i suoi semi che verranno però calpestati da tutti: per coloro i cui cuori sono come terreni sassosi, dove i semi dell'amore di Dio cadono per essere presto dimenticati; per coloro i cui cuori sono come rovi di spine, dove i semi dell'amore di Dio vengono soffocati dalle preoccupazioni terrene. Espiò per tutti quelli che avevano la fede e la persero, per tutti quelli che prima erano santi ma ora sono divenuti nemici.
Era l'atto divino di redenzione per tutti quelli che abbandonano Dio: infatti, nel momento in cui fu abbandonato, acquistò per noi la grazia di non essere mai abbandonati da Dio. È stato un atto di espiazione anche per coloro che rinnegano la presenza di Dio; per tutti quei cristiani che abbandonano ogni sforzo quando non sentono la vicinanza di Dio; per tutti coloro che identificano l'essere buoni con lo star bene; per tutti gli scettici, iniziando da coloro che gli avevano chiesto: “Chi ti ha mandato?”.
Gesù stava espiando per tutte quelle domande accattivanti di un mondo che continuamente si chiede: “Perché esiste il male?” “Perché Dio non risponde alle mie preghiere?” “Perché Dio si è portato con sé mia madre?” “Perché…perché... perché?” L'espiazione per tutte queste domande si compì nel momento in cui Dio stesso chiese un perché? a Dio. Infine, era l'espiazione per tutta l'indifferenza di un mondo che vive come se non ci fossero mai state una mangiatoia a Betlemme e una croce sul Calvario; per tutti coloro che giocavano ignaramente a dadi mentre si stava consumando il dramma della redenzione; per tutti coloro che si sentono degli dèi al di sopra di ogni dovere, di ogni religione, di ogni rito, credendosi privi di ogni legame.
LA QUINTA PAROLA: Ho sete
Una sola parola affiora dagli abissi del cuore di Cristo e attraversa le sue labbra riarse: “Ho sete”. Lui, Dio fatto uomo, che aveva lanciato le stelle nelle orbite dell'universo e le sfere celesti nello spazio, che “appese la terra come un ciondolo al suo polso”, dalle cui dita rotolarono i pianeti e i mondi; che disse: “Mio è il mare e i fiumi che scorrono tra le migliaia di valli e le sorgenti che sgorgano tra le innumerevoli colline”, proprio Lui ora chiede all'uomo dell'acqua! Ma non chiede acqua terrena, bensì un po' d'amore. Come se dicesse: “Ho sete ... d'amore!”. L'ultima parola rivelava la sofferenza dell'uomo senza Dio; questa parola rivela la sofferenza di Dio senza l'uomo. Il Creatore non può vivere senza la creatura, il Pastore senza il gregge, la sete d'amore di Cristo senza l'acqua spirituale dei cristiani.
Amore vuole dire prima di tutto dare, e Dio ha dato il suo potere al nulla, la sua luce all'oscurità, il suo ordine al caos: è la Creazione. Amore significa rivelare se stessi a chi si ama, e Dio, attraverso le Scritture, ci ha rivelato la sua natura e le grandi speranze che egli nutre per l'umanità caduta: è la Rivelazione. Amore significa soffrire per chi si ama, per questo si parla di frecce e di dardi d'amore, cioè di qualcosa che ferisce, e ora Dio sta soffrendo per noi sull'albero della croce, poiché “nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”.
Amore significa anche diventare uno con chi si ama, non solo nell'unità della carne, ma soprattutto nell'unità dello spirito, e Dio ci ha amato tanto da istituire l'eucaristia, affinché noi possiamo rimanere in lui e lui in noi nell'ineffabile unione del Pane di vita.
Amore vuole dire desiderare di rimanere eternamente con chi si ama, e Dio ci ha amato tanto da prometterci una dimora con il Padre, dove regnano una pace e una gioia che il mondo non può dare e il tempo non può portare via: è il paradiso.
Cristo avendo versato tutta l'acqua del suo amore eterno nei nostri poveri e aridi cuori, non ci meravigli che ora sia tanto assetato di amore. Se amare significa reciprocità, allora egli ha tutto il diritto al nostro amore! Perché non rispondiamo? Perché lasciamo che il Cuore divino muoia di sete per l'amore umano?
LA SESTA PAROLA: Tutto è compiuto
Il Padre celeste, nella sua infinita misericordia, volle ripristinare nell'uomo la sua antica gloria. Per far si che il ritratto potesse nuovamente essere fedele all'originale, Dio volle mandare sulla terra suo Figlio, secondo la cui immagine egli aveva fatto l'uomo: in questo modo la terra avrebbe potuto vedere di nuovo come Dio aveva voluto che l'uomo fosse. Nella realizzazione di quest'opera, l'Onnipotenza divina poté far uso, come solo Dio poteva fare, di quegli elementi che erano serviti nella sconfitta, trasformandoli in strumenti di salvezza. Nella storia della Redenzione, gli stessi tre strumenti che avevano cooperato alla nostra caduta furono usati per la nostra redenzione. Al posto dell'uomo disobbediente Adamo, egli pose l'uomo obbediente, Gesù; al posto della donna orgogliosa, Eva egli pose un'umile vergine, Maria; al posto dell'albero nel mezzo del giardino, egli pose l'albero della croce. La Redenzione era ora completa. II lavoro che il Padre gli aveva dato era stato compiuto.
Così siamo stati comprati e pagati a caro prezzo. Siamo stati riscattati grazie a una battaglia in cui non furono usate le cinque pietre che servirono a David per uccidere Golia, ma le cinque piaghe, le orribili ferite inflitte sulle mani, sui piedi e nel costato di Gesù, una battaglia il cui grido era: “Padre, perdonali”; una battaglia in cui non furono usate delle punte d'acciaio, ma gocce di sangue; una battaglia in cui il perdente fu colui che uccise il nemico.
Ora questa battaglia era terminata. Durante le ultime tre ore, Gesù si era occupato delle cose del Padre. L'artista aveva dato l'ultimo tocco al suo capolavoro e, con la gioia dei forti, gridò il canto del suo trionfo: “Tutto è compiuto”. Il suo lavoro era giunto a compimento, ma il nostro? Solo Dio può permettersi di usare quella parola, noi no. Il lavoro di acquisire la vita divina per l'umanità è terminato, ma la distribuzione dei suoi meriti continua. Egli ha compiuto l'opera di riempire i serbatoi della vita sacramentale con le fonti del Calvario, ma l'opera di lasciare che essa inondi le nostre anime non è ancora terminata. Egli ha costruito le fondamenta, noi dobbiamo edificarci sopra.
Egli ha terminato l'arca, ha aperto il suo lato con la lancia, si è vestito con il manto del suo preziosissimo sangue, ma ora noi dobbiamo entrare. Il Signore è alla porta e bussa, ma la maniglia è solo dal nostro lato e solo noi possiamo aprirla. Gesù ha operato la consacrazione, ma spetta a noi fare la comunione. Solo da noi dipende il compimento dell'opera che ci è stata affidata, dalla nostra capacità di adeguarci alla sua vita, diventando altri “Cristi”. Infatti, il suo venerdì santo e la sua passione non potranno giovarci se non prendiamo la sua croce e lo seguiamo. Il peccato è l'impedimento più grande al compimento di quest'opera, e finché regnerà il peccato nel mondo Cristo continuerà a essere crocifisso nei nostri cuori.
LA SETTIMA PAROLA: Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito.
Quando Adamo fu cacciato dal paradiso terrestre, dopo essergli stato imposto il castigo del lavoro, vagava in cerca del cibo che doveva guadagnarsi con il sudore della fronte. Durante la sua ricerca, inciampò sul corpo senza vita di suo figlio Abele. Allora lo sollevo, se lo mise sulle spalle e lo depose sulle ginocchia di Eva. Per quanto Adamo ed Eva parlassero al figlio Abele, questi non rispondeva. Non era mai stato così silenzioso in tutta la sua vita. Alzarono allora la sua mano, ma questa ricadde inerte nel grembo della madre. Non aveva mai fatto così il ragazzo. Lo guardarono negli occhi: erano freddi, vitrei, misteriosamente elusivi. I genitori non lo avevano mai visto così passivamente insensibile. Allora si chiesero cosa fosse successo, ma non sapevano darsi alcuna risposta. Ricordarono poi le parole: “Dall’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti” (Gn 2,17).
Quella di Abele fu la prima morte nel mondo. I secoli trascorsero nell'irrefrenabile ruota del tempo e il nuovo Abele, Cristo, viene ora condannato a morte dai suoi fratelli della razza di Caino, accecati dalla gelosia. La vita emersa dalle profondità infinite ora si prepara a ritornare a casa. La sua sesta parola era stata retrospettiva: “Tutto è stato compiuto. Ho finito l'opera che il Padre mi aveva dato”. In cambio, la sua settima e ultima parola è rivolta verso il futuro: “Nelle tue mani consegno il mio spirito”.
La sesta parola era per il mondo, la settima era invece per il Padre. La sesta parola era un addio al mondo, la settima segna il suo ingresso nel paradiso. Come quei grandi pianeti che giungono al termine della loro orbita dopo molto tempo e, iniziando nuovamente il loro percorso, sembrano voler salutare colui che ha loro tracciato il cammino, così Gesù, che era venuto dal cielo, ha ora terminato il suo lavoro, ha cioè completato il suo percorso, e ritornando al Padre, che aveva tracciato il cammino della grande opera redentrice, lo saluta dicendo: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”.
Il figliol prodigo ritorna alla casa del Padre. Non è infatti Gesù come il figliol prodigo? Trentatré anni prima aveva lasciato la casa del Padre suo celeste per andare in un lontano paese, che è il nostro mondo. Allora iniziò a spendere le sue risorse spirituali e lasciare che altri ne usufruissero, disperdendo con infinita prodigalità le ricchezze divine della sua potenza e sapienza, distribuendo con liberalità divina il dono del perdono e della misericordia. In questa sua ultima ora, tutte le sue sostanze vengono dissipate tra i peccatori, donando per la redenzione del mondo fino all’ultima goccia del suo sangue. Non c’è nulla di cui egli possa nutrirsi ora, ad eccezione del guscio della derisione e dell’aceto dell’aspra ingratitudine umana. Ora, però, si prepara a ritornare alla casa del Padre e quando è ancora a una certa distanza, può già vedere il suo volto. Allora prorompe con la sua ultima e perfetta preghiera dal pulpito della croce: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”.
DISCEPOLO È Colui che ha incontrato Gesù, fatto esperienza con il dono della VITA NUOVA, OPERA DELLO SPIRITO SANTO, che ogni giorno l’ho incontra con la sua preghiera personale, si ferma ai piedi della “croce”, medita e accoglie nella propria vita, le ultime sette parole pronunciate da Gesù e……tutte le sere, prima di addormentarsi, ripete con fede “Padre nelle tue mani consegno il mio spirito”